E’ diffusa tra i bambini ma perche’ si arrivi a una diagnosi corretta trascorre spesso molto tempo, perche’ si passa da specialisti sbagliati o si fanno analisi che non portano a un risultato conclusivo. L’emicrania colpisce il 9% degli under 12 secondo alcuni studi scientifici ma prima che venga diagnosticata passano da una media di due anni fino a picchi di tre. Il ruolo di prime “sentinelle” e’ affidato ai genitori, che devono osservare il bambino e operare in sinergia con i pediatri, che devono avere invece una formazione di base sul tema.
Se n’e’ discusso alla scuola di pediatria organizzata a Capri da Paido’ss, l’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza. “Il genitore dovrebbe iniziare a preoccuparsi innanzitutto se anche lui soffre di emicrania – sottolinea Bruno Colombo, responsabile del centro per la cura e la diagnosi delle cefalee dell’eta’ pediatrica ed adulta dell’universita’ Vita-salute, ospedale San Raffaele di Milano- la familiarita’, infatti, aumenta del 40% il rischio, e del 70% se a soffrirne sono entrambi i genitori. Poi si deve osservare il comportamento del bambino. Un bimbo che soffre di emicrania, che ha spesso anche sintomi come vomito e nausea, si ritira dalle attivita’ sociali, evita lo sforzo fisico e ha dei comportamenti che devono essere presi sul serio. Il pediatra, poi, con poche domande mirate puo’ confermare il sospetto”.
Una volta ottenuta una diagnosi certa il consiglio e’ di tenere un diario delle crisi. “Se si supera il limite di 4 attacchi al mese interveniamo con le terapie – aggiunge – stiamo ottenendo buoni risultati con la Ginkgolide B insieme a coenzima Q10, vitamina B12 e magnesio, tutte sostanze naturali, mentre in casi piu’ gravi si possono usare antidolorifici a minore impatto. Anche l’eliminazione di alcuni cibi, del tutto soggettiva, puo’ aiutare. L’importante e’ non affidarsi al ‘fai da te’, come fanno certe mamme che danno al figlio i loro stessi farmaci”.


